Fabio Carnaghi, Luca Del Fra, In my end is my music in The art reacts, Romaeuropa Festival, Fondazione Romaeuropa, Roma 2013

 

Luciano Berio e Devis Venturelli

IN MY END IS MY MUSIC
La musica elettroacustica di Luciano Berio

Nella avanguardia del secondo Novecento, Luciano Berio (1925 – 2003) si distingue per la sua grande apertura verso tutta la musica, che grazie a un interesse vigile, critico e cosciente andava ben oltre il genere colto e abbracciava il folclore, il pop e molto altro. Non sorprende dunque sia stato tra i pionieri dell’elettronica e i due appuntamenti con la sua musica elettroacustica su nastro, illuminati da un progetto video di Devis Venturelli, aprono uno squarcio su un percorso a dir poco avventuroso fin dai suoi albori e, attraverso brani che hanno fatto epoca, rivelano come queste sperimentazioni siano state centrali in tutta la sua carriera.


Quando nel 1954 Berio approda all’embrione di quello che sarebbe diventato lo Studio di Fonologia della Rai di Milano, pionieristico laboratorio di musica elettronica di importanza mondiale, è un compositore tutt’altro che formato: è interessato e incuriosito ai linguaggi delle avanguardie, come l’alea e soprattutto il serialismo integrale di Darmstadt, tuttavia non ne condivide l’assunto estetico totalizzante, vale a dire che debba essere l’unica tecnica da usare. Allo Studio incontra uno spirito indipendente come Bruno Maderna che lo lascia sperimentare in libertà: d’altra parte cosa altro avrebbero potuto fare in un campo ancora inesplorato come l’elettronica? È in questo clima che Berio elabora un particolare approccio: l’elettronica è importante non perché fornisca delle possibilità sonore inedite, seducenti, eclatanti, ma si rivela invece fondamentale poiché obbliga a iniziare la composizione dalla creazione e soprattutto dalla manipolazione dei suoni, aprendo nuovi orizzonti soprattutto creativi. Un momento di svolta è rappresentato da “Thema (omaggio a Joyce)” del 1958, dove gli apparecchi elettronici non generano dei suoni, ma sono usati solo per manipolare la voce registrata di Cathy Berberian, la prima moglie di Berio e tante volte sua musa ispiratrice grazie a una vocalità a dir poco funambolica e alla sua grande intelligenza musicale. Il testo, un estratto dell’XI capitolo dell’ “Ulisse” di James Joyce (intitolato “Sirens” e dedicato appunto alla musica), è recitato in varie lingue -Inglese, Italiano e Francese-, ed è frantumato, elaborato, filtrato e ricomposto per creare a livello squisitamente musicale un flusso tra fenomeni acustici di diversa natura. Per Berio è il raggiungimento di quella fusione fra diversi sistemi comunicativi –linguaggio, in questo caso parlato, letteratura e musica–, attraverso una metamorfosi continua dall’uno all’altro che caratterizzerà tanta della sua musica. È in questo senso che Berio dirà che l’elettronica è «la sola pratica musicale che permette realmente di comporre con differenti tipi di realtà». Tanto che in “Chant Paralléles” del 1975, in realtà sono 15 frequenze, armonicamente legate da una modalità di carattere popolare, a realizzare quel canto parallelo del titolo che evocherebbe la voce umana. Dal canto senza voce, alla voce pura e liberata dai suoi fardelli semantici con “Visage”, un brano del 1961 fondato su gesti e inflessioni vocali, ancora una volta di Berberian, trattati e miscelati con suoni elettronici. Non privo di umorismo, l’unica parola pronunciata per due volte è “parola”, “Visage” si presenta come una microdramma, dove le situazioni sono create dalla voce, che passa dal suono inarticolato alla sillaba, dal riso al pianto al canto, e dall’afasia a inflessioni derivate da lingue e dialetti. Composto nel momento in cui Berio lasciava lo Studio di Fonologia, anche lui non senza umorismo lo definì «un omaggio alla radio come il mezzo più usato nella diffusione di parole inutili».
Dopo le prime sperimentazioni, rappresentate da “Mimusique” n. 1 (1953), “Ritratto di città”, in collaborazione con Maderna (1954) e “Mutazioni” (1955) è con “Perspectives” del 1957 che Berio raggiunge piena consapevolezza e possesso dell’elettronica di allora: completamente basato su suoni di sintesi, il brano si presenta come un virtuosistico montaggio, realizzato con gli elementari mezzi di allora –nastro, forbici e magnetofono–, di diverse famiglie sonore che, come ha spiegato lo stesso compositore, possono essere divise in sibilanti, fricative e consonantiche. Come si vede è già del tutto presente la spinta a creare un ponte tra voce, linguaggio e musica che caratterizzerà la sperimentazione successiva. Tematiche che, non a caso ritroviamo in “a-ronne” (1974) un documentario sonoro su una poesia di Edoardo Sanguineti che, spiega Berio, «sottoposta a diverse letture, non è trattata come un testo da mettere in musica ma, piuttosto, come un testo da analizzare e come un generatore di situazioni vocali e di espressioni diverse. “a-ronne” può forse suggerire qualche tenue legame coi madrigali rappresentativi, cioè col teatro degli orecchi (della mente, diremmo oggi) del tardo Cinquecento». “Momenti” del 1960, cinque pannelli creati attraverso diverse combinazioni di 93 suoni elettronici in rapporto di quinta e di settima, testimonia ancora una volta come la vena sperimentale di Berio, mai fine a sé stessa, sia stata fondamentale nel trasformare quelle che fino allora erano considerate solo macchine in uno strumento in grado di ampliare il campo della musica e, più ancora, del pensiero musicale.

Luca Del Fra
(© 2013, Luca Del Fra)

 

La musica di Luciano Berio viene riproposta attraverso lo sguardo visionario di Devis Venturelli, che indaga le interazioni tra performance, architettura e cultura contemporanea. I suoi film sperimentali sono stati presentati in istituzioni internazionali tra cui ZKM di Karlshruhe, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, la Kunsthalle di Vienna. I sei video inediti tracciano un percorso che immagina la musica di Berio, in poetiche fughe nella città di vetro e cemento, miraggi stranianti, forme libere nello spazio che rivelano la loro natura di generatori sonori.

Per “Thema” (“omaggio a Joyce”) la forma argentata si sviluppa in libere improvvisazioni coreografiche in sincronia con la composizione elettroacustica. Le taglienti sculture futuristiche associano la loro spontanea aerodinamica al soffio sonoro. La walking city diventa lo scenario in cui architetture aeree ed effimere hanno il dono del movimento come la musica da cui si librano, in contrasto con le rigide e arbitrarie progettualità urbane.
Il non luogo urbano e infrastrutturale è il campo d’indagine di “Chants parallèles” in cui strisce cromatiche fungono da filtri destrutturanti nella rappresentazione delle frequenze sonore che alterano l’atmosfera straniante dello spazio. Lo schermo colorato diventa punto di vista per sperimentare nuove possibilità poetiche nell’anonimato.
“Visage” è una narrazione che dà vita ad una sorta di teatro danza della voce. Il carattere imperscrutabile dell’onomatopeica del linguaggio è ottenuto da camouflage naturali di origine animale di diversa forma e colore, che trascendono l’idea di abito, per esplicitare una forma viscerale ed ancestrale del corpo.
In “Perspectives” la luce asseconda la suggestione elettronica, facendo brillare design compositi di paillettes, in una parata a metà fra miraggi high-tech e folli e vistosi copricapi. Sullo sfondo un repertorio edificatorio cita uno skyline ininterrotto tra l’architettura del boom economico e i più contemporanei masterplan urbani.
Con “a-ronne” ha inizio un grande viaggio in multiformi paesaggi naturali, scelti per la loro intrinseca specificità selvaggia, dalle Alpi al mare. Oggetti della quotidianità, all’apparenza incongruenti stabiliscono una relazione, un pensiero tra loro grazie al suono della voce nella natura più spontanea, in un processo di risemantizzazione della realtà. In “Momenti”, l’abito viene compromesso nella sua funzione primaria e di apparizione sociale.
Il suono elettroacustico delle sequenze innesca un effetto domino che deforma totalmente i capi del guardaroba, esorcizzando la dimensione fisica del corpo umano. Le cinture si elettrificano in danze tribali, le cravatte strisciano in formazioni compatte, i cappelli e i guanti piroettano, le scarpe precipitano e infine grigi completi maschili si trasformano nel divertissement di una folle fontana barocca.

Fabio Carnaghi
(© 2013, Fabio Carnaghi)

Programma

Thema (omaggio a Joyce), elaborazione elettroacustica della voce di Cathy Berberian su nastro magnetico (1958). Testo di James Joyce
Chants parallèles, per suoni elettronici su nastro magnetico (1975)
Visage, per suoni elettronici e la voce di Cathy Berberian, su nastro magnetico (1961)
Perspectives, per suoni elettronici su nastro magnetico (1957)
a-ronne, documentario radiofonico per cinque attori (1975). Testo di Edoardo Sanguineti
Momenti, per suoni elettronici su nastro magnetico (1960)